I racconti del cuscino (The Pillow Book) è un manifesto. Dichiara che i nostri corpi non sono mai testi finiti, che l'identità è un processo di costante scrittura e correzione. Nel nostro mondo, siamo tutti manoscritti viventi, in attesa di essere scritti, letti, compresi.
Titolo: I racconti del cuscino
Paese: Paesi Bassi, Francia, Regno Unito, Lussemburgo
Anni: 1996
Regia di Peter Greenaway
Interpreti: Vivian Wu, Ken Ogata, Ewan McGregor
Costumi di Emi Wada, Dien van Straalen, Koji Tatsuno, Martin Margiela
Il film racconta la storia di Nagiko, una giovane donna giapponese il cui fascino per la calligrafia nasce da un ricordo d'infanzia. Suo padre, un calligrafo, le dipingeva ogni anno gli auguri di compleanno sul viso, ispirandosi ai tradizionali “libri cuscino” giapponesi - diari e scritti personali.
Da adulta, Nagiko è ossessionata dalla ricerca di amanti che scrivano sul suo corpo. Cerca calligrafi che possano trasformare la sua pelle in una tela vivente, considerando il suo corpo come un testo sacro da inscrivere con bellezza e significato. La sua ricerca è profondamente personale, radicata nelle sue esperienze infantili e in un rapporto complesso con la scrittura, la sessualità e l'identità.
Il suo viaggio prende una svolta drammatica quando incontra Jerome, un traduttore inglese gay che vive a Tokyo. A differenza dei suoi precedenti amanti, Jerome diventa sia il suo amante che il suo collaboratore nella sua ossessione artistica. Accetta di scrivere sul suo corpo, ma la loro relazione diventa sempre più complicata quando Nagiko sviluppa un piano unico e provocatorio.
In cerca di vendetta contro un editore che in passato aveva umiliato suo padre, Nagiko escogita un piano elaborato. Inizia a sedurre gli editori, usando il suo corpo sia come arma che come forma d'arte. Il suo obiettivo finale è usare Jerome come strumento di vendetta, trasformandolo in un manoscritto vivente da offrire all'editore che ha fatto un torto alla sua famiglia.
Critica
Nel labirintico paesaggio dell'opera cinematografica di Peter Greenaway, The Pillow Book è la testimonianza provocatoria del potenziale del corpo inteso sia come tela che come testo. Uscito nel 1996, il film non è tanto una narrazione quanto una riflessione filosofica, una rivisitazione radicale del modo in cui concepiamo la comunicazione, il desiderio e l'identità culturale. Greenaway decostruisce le nozioni tradizionali di testo, presentando la pelle come la superficie di scrittura per eccellenza. Ogni amante diventa un potenziale autore, ogni tocco una potenziale frase, ogni carezza un potenziale paragrafo. Non si tratta di una mera metafora: il film letteralizza questo concetto, presentando i corpi come testi dinamici che sono contemporaneamente scritti e scriventi.
L'influenza dei tradizionali libri cuscino giapponesi - diari intimi e personali scritti tipicamente dalle donne durante il periodo Heian - è profonda. Greenaway non si limita a fare riferimento a questa tradizione, ma la reimmagina radicalmente in un contesto postmoderno e transnazionale. Il corpo di Nagiko diventa un palinsesto, ogni iscrizione stratifica il significato, cancellando e rivelando contemporaneamente.
Il linguaggio visivo del film è una deliberata rottura dei confini culturali. Posizionando una protagonista giapponese in dialogo con un traduttore britannico, Greenaway crea uno spazio liminare in cui le identità culturali non sono fisse ma fluide, costantemente negoziate e riscritte.
La sessualità in questo film non è solo un atto fisico, ma una forma di scambio linguistico. Ogni incontro sessuale diventa una complessa negoziazione del potere, del desiderio e dell'agenzia testuale. I corpi diventano testi che parlano, urlano, sussurrano, sfidando il ruolo passivo tradizionalmente assegnato al corpo nelle rappresentazioni artistiche e culturali.
L'approccio tecnico di Greenaway è rivoluzionario. Lo stile visivo del film - un deliberato collage di schermi multipli, rapporti d'aspetto mutevoli e testo integrato - rispecchia le sue preoccupazioni tematiche. Molteplici narrazioni coesistono, si sovrappongono e si contraddicono a vicenda, creando un'esperienza cinematografica che riguarda tanto il processo di narrazione quanto la storia stessa.
L'uso di più lingue - giapponese, inglese, simboli calligrafici - enfatizza ulteriormente l'argomento centrale del film: la comunicazione non è mai singolare, mai pura, sempre ibrida e negoziata. Il corpo diventa un'arma, il linguaggio una strategia di resistenza.
The Pillow Book ci sfida a riconsiderare gli assunti fondamentali sulla comunicazione, sui corpi e sull'identità culturale. Ci chiede: E se i nostri corpi non fossero semplici contenitori ma testi attivi? E se la comunicazione non si limitasse al linguaggio parlato o scritto, ma esistesse nell'intricata coreografia del tatto, del desiderio e della memoria culturale?
In un'epoca sempre più definita dalla comunicazione digitale e dalle identità frammentate, il film di Greenaway sembra non solo preveggente, ma profetico. Suggerisce che l'identità non è fissa, ma continuamente inscritta, riscritta e negoziata.
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